lunedì 30 gennaio 2012

Addomesticare la tecnica

Il collasso è in grado di porre l’obiettivo della messa in sicurezza, in modo da declinarla con la scoperta di altri modi per rigenerare parti di città o di paesaggio, cogliendo l’occasione per farle appartenere con più forza alla contemporaneità?

Una briglia selettiva e un canale fugatore diventano terreno di sperimentazione attiva e laboratorio di sviluppo futuro sostenibile della città; un nuovo collegamento urbano in quota e la ricerca costante di rendere gli spazi della tecnica nuove forme di abitare il territorio.
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sabato 21 gennaio 2012

Photo Campus TERRE FRAGILI: Intro



Quattro fotografi, in 7 giorni, scendono in campo alla ricerca delle tracce del disastro. I loro lavori saranno pubblicati, a intervalli di una settimana, su architettura|a|bassa|definizione.



Il rapporto tra fotografia e tempo rimette in campo la questione delle emergenze come salto e rottura del tempo lineare della quotidianità. La fotografia coglie l’urgenza di una nuova condizione, che emerge, non prevista, non calcolata. la fotografia è una precipitazione e una contrazione del tempo, un ripiegamento, che permette di leggere l’intreccio tra i segni del passato e le indicazioni per il futuro.

Di fronte alla fragilità della terra la fotografia racconta, attraverso una raccolta di tracce e indizi, la crisi di questi territori dopo la dismissione delle attività produttive e il loro abbandono. Il trauma e l’emergenza accelerano tutto quello che è già in moto, che diventa più urgente. Se c’è una crisi diventa più urgente, se c’è (come nel caso del Belice) un movimento verso il cambiamento, il tempo diventa più debole.

C’è un momento di rottura preciso che è l’evento, che stabilisce un prima e un dopo. E poi succede qualcosa di inaspettato e lì è come se non solo precipitasse la montagna, ma anche si accelerasse tutto. Da un certo punto di vista è come se si fermasse, perché nel momento dell’emergenza è come se tutto fosse un po’ congelato. In queste situazioni subito dopo l’evento traumatico la memoria si fa collettiva. Certi episodi entrano talmente nel racconto quotidiano delle persone che anche chi non l’ha vissuto da vicino crede di avere vissute da vicino. Ci sono delle cose che entrano quasi nel mito, che devono essere assunte come inspiegabili, come fossero il retaggio di una cultura antica, che aveva bisogno di qualcosa di sovrannaturale.

Attraversando certi paesaggi colpiti da eventi disastrosi da una certa altezza o una certa posizione, i segni del trauma sul territorio assumono una scala diversa. Non è come esserci dentro. Mano a mano che ti allontani questi segni sono assorbiti dal paesaggio, riassumono una certa naturalità. Ma questa impressione potrebbe derivare da una visione ingannevole che porta a dubitare delle immagini che possiamo fissare con la macchina.La fotografia con la sua visione parziale e selettiva non può mostrare una visione assoluta del paesaggio, e quindi a una certa scala riassorbe i segni del trauma perché li nasconde entro i suoi limiti.

È anche vero però che la fotografia in quanto piega del tempo nell’attimo bloccato dallo scatto in questa fessura di eternità ci mostra i particolari dell’oggi in una scala temporale assolutamente diversa che, misurandosi con la lunga durata, ci fa scoprire i movimenti della natura. 

Ci si rende conto dunque che l'occhio indagatore della fotografia può porsi come statuto necessario alla comprensione degli indizi, sottili e invisibili, celati nelle pieghe di un territorio consumato dal disastro. Nasce dunque la necessità di istituire una campagna di ricerca, che, mettendo assieme tutti questi indizi residuali, fornisca una chiave interpretatitiva delle questioni che caratterizzano uno di questi paesaggi stanchi: la città lineare (e il territorio limtrofo) che va da Messina a Capo Alì, colpita dagli eventi dell' 1 ottobre 2009.




Laura Cantarella



























Andrea Botto




Peppe Maisto





Filippo Romano






venerdì 13 gennaio 2012

Collapse city

l'architettura della città nell'epoca dei disastri


La diffusione e l’accentuazione della percezione del disastro negli ultimi decenni ha alimentato l’insicurezza e la paura collettiva favorendo lo sviluppo di retoriche tecniciste che utilizzano l’ingegneria come soluzione lineare ai problemi.
Al di sopra di una certa soglia di velocità e di occupazione dell’informazione un disastro assume una tale rilevanza sociale e culturale che costringe i saperi tecnici e le economie a riorganizzarsi esclusivamente all’interno della sua logica.
Alla paura collettiva scatenata dai mass media si risponde con la promessa di una sicurezza totale che viene garantita dalla retorica della Tecnica.
L’ingegneria, utilizzando una logica selettiva e lineare, si definisce come strumento normalizzatore che separa e distrugge la possibilità di ricostruire una comunità. In questo modo viene cancellata l’idea che la città possa reagire al trauma riorganizzando le forme e il senso della comunità e viene annientata l’idea che la crisi possa favorire la scoperta di altri modi di abitare le forme assunte dai paesaggi e dalla città dopo l’evento traumatico. La messa in scena della sicurezza comporta la mobilitazione di ingenti capitali e un dispendio incontrollato di risorse che vengono sottratte all’uso comune. 
Lo stato di eccezione conseguente al collasso costituisce la modalità con cui viene costruita la città contemporanea: sospensione dei processi democratici, militarizzazione delle comunità, occupazione e controllo del territorio attraverso il posizionamento di imponenti opere di ingegneria.
Le condizioni limite che spesso portano al collasso impongono l’articolazione di una serie di domande per ripensare uno spazio da riconquistare per l’architettura.




Cantieri Incompiuti


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venerdì 6 gennaio 2012

Camera H2O_passaggi a grado zero

Lʼacqua è invisibile. Malgrado sia materia vitale e indispensabile ce ne serviamo con indifferenza e, ingannati dai contenitori, non riusciamo più a vederla.
Quali sono le forme dellʼacqua? Quali le sue dimensioni? La sua struttura? I suoi odori? La sua economia?
Una Camera-spazio si trasforma in una camera-visione, uno spazio del vedere e del sentire, che, attraverso il movimento e la sosta, scopre le metamorfosi e i passaggi di stato della materia. Tre installazioni invitano ad immergersi negli stati di consistenza dellʼacqua esplorandone le diverse configurazioni.
Gli attraversamenti innescano impercettibili battaglie tra corpi e materie, percezioni e idee, luoghi comuni e spaesamenti.
Le forme dellʼacqua, una volta rivelate, forzano e modificano le dimensioni dello spazio sollevando sulla pelle emozioni ancestrali e nascoste.
Lo spazio cangiante della Camera dilata e moltiplica le visioni del corpo.
Le installazioni dispiegano un vuoto enigmatico che fa presagire, in un futuro prossimo, lʼaccendersi di laceranti e drammatiche guerre per lʼacqua.