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venerdì 2 marzo 2012

Campus di fotografia TF2 | Peppe Maisto | Smottamenti domestici

Territorio e non paesaggio. Territorio è appartenenza. Paesaggio è qualcosa che osservo fuori da me. Territorio è inclusivo. È un palinsesto (Corboz) per piccoli o grandi segni di appropriazione. Il territorio contiene paesaggi differenti. Due racconti. Due territori. La scala geografica e la dimensione domestica. Visioni di territorio che si alternano a visioni intime dell'abitare. Territori percorsi senza abbassare il volume dei racconti di chi li abita. Racconti di sconvolgimenti di luoghi che mal sopportano l'abbandono. Pendii che scivolano. Che portano a valle case, abitanti e le loro storie. Le fiumare attraversano terre fragili e ne permettono l'attraversamento. Sono strumenti di visione. Una visione alternante di paesaggi rassicuranti e di una natura imprevedibile. Consentono la vista di insediamenti umani. Insediati lì per vedere e lasciarsi vedere. Le fiumare raccolgono ciò che i pendii rilasciano. Raccolgono frammenti di storia del territorio. I suoi margini segnano il limite tra natura e addomesticamento. Tra acque e pendii abitati.  Gli argini contengono le piene. Contengono la storia dei livelli e del controllo delle acque. Contengono usi e trasformazioni dei pendii. Sezioni oblique che divengono terrazze. Terreni impervi che lasciano spazio a orti, agrumeti, campagna produttiva. Pendii che franano sotto improvvise e impreviste quantità di piogge. Smottamenti che spostano case e cose. Creano vuoto, abbandono, morte, là dove c'era vita. Smottamenti che creano nuovi paesaggi, nuove storie, nuovi racconti. Smottamenti che spostano memorie di case rese inagibili. Che costringono ad abitare case momentanee in attesa del ritorno. Che generano piccoli segni di riappropriazione. Smottamenti che realizzano nuove dimensioni domestiche.

venerdì 24 febbraio 2012

Campus di fotografia TF | Laura Cantarella | LA LOGICA DELL'IMPERMANENZA


Non c’erano luoghi sacri una volta per sempre, destinati, ombelicali, come quelli dei templi. Il luogo sacro era la scena del sacrificio, che andava scelta ogni volta seguendo criteri fissi: «Oltre a stare in alto, quel luogo dovrà essere piano; e, oltre ad essere piano, dovrà essere compatto; e, oltre ad essere compatto dovrà essere inclinato verso est, perché est è la direzione degli dei [...]»
Alto, piano, compatto: questi i primi requisiti del luogo del sacrificio. Come se si volesse definire una superficie neutra, una tela di fondo su cui disegnare i gesti con perfetta naturalezza. È l’origine della scena come luogo predisposto ad accogliere tutti i possibili significati. Quanto di più moderno, - anzi, la scena stessa del moderno.
Roberto Calasso, l’Ardore


martedì 14 febbraio 2012

IL BANDO PER LA PARTECIPAZIONE AL WORKSHOP "TERRE FRAGILI # 2" - scade il 24.02.2012

La diffusione della percezione del disastro negli ultimi decenni ha alimentato l'insicurezza collettiva favorendo lo sviluppo di retoriche tecniciste che utilizzano l'ingegneria come soluzione lineare ai problemi. Al di sopra di una certa soglia di velocità e di occupazione dell'informazione un disastro assume una tale rilevanza sociale  e culturale che costringe i saperi tecnici e le economie a riorganizzarsi esclusivamente all'interno della sua logica. Il collasso è sospensione del tempo che impone un ripensamento sulla durata delle trasformazioni e sul ruolo delle architetture. 
Il progetto è capace di misurare la questione e individuare le soluzioni possibili? 
Il collasso è in grado di porre l'obiettivo della messa in sicurezza, in modo da declinarla con la scoperta di altri modi per rigenerare parti di città o di paesaggio, cogliendo l'occasione per farle appartenere con più forza alla contemporaneità?

L’associazione culturale ICSplat, con il DARC dell’Università degli Studi di Catania e il Dipartimento di Protezione Civile – Presidenza della Regione Siciliana, promuove la selezione di 30 posti per partecipare al Workshop di progettazione “Terre Fragili #2”, che si terrà presso la città di Scaletta Zanclea (ME) nel periodo 16 – 25 marzo 2012.
Terre Fragili #2 è un workshop internazionale di architettura strutturato per accentuare il carattere site-specific del progetto. Il workshop vuole sperimentare nuove pratiche del progetto nei territori investiti da disastri. I temi del workshop indagano sulle aree colpite dall’alluvione di Messina del 1 ottobre 2009 per riorganizzare i frammenti dell’incidente in un nuovo ordine. Le attività sul campo coinvolgono interlocutori diversi dalle associazioni alle istituzioni, dai comitati civici alle imprese che operano sul territorio. Gli incontri che anticipano l’apertura del workshop sono orientati al confronto con esperti per costruire una lettura critica e un approfondimento sulle questioni individuate. Il workshop ha come finalità quella di costruire una gamma di scenari di trasformazioni possibili a partire dall’evento traumatico fino al tempo lungo (obiettivo 2050). Il lavoro d’investigazione sul campo mira a verificare in tempo reale, attraverso piccoli allestimenti, nuove possibilità di ripensare il futuro delle città e dei territori alla luce delle trasformazioni in corso.


I tutors invitati al workshop TERRE FRAGILI #2 sono: 
Frederic Bonnet | Università della Svizzera Italiana - Mendrisio 
Eduard Bru | Universitat Politècnica de Catalunya ETSAB - Barcelona 
Luca Emanueli | Università di Ferrara 
Manuel Orazi | Edizioni Quodlibet - Macerata 
Marco Navarra | Università di Catania 
Stefano Munarin / Maria Chiara Tosi | Università IUAV di Venezia 
Juan Manuel Palerm | Universidad ULPG Canarias - Gran Canaria



I visitings che parteciperanno alla presentazione dei risultati del workshop sono: 
Mario Lupano | Università IUAV di Venezia
Ilka Ruby | RubyPress - Berlin 
Paola Viganò | Università IUAV di Venezia
Requisiti per la partecipazione
Possono partecipare alla selezione studenti, laureandi in architettura e giovani architetti che al momento della selezione non abbiano superato i 30 anni.
I soggetti interessati dovranno far pervenire la propria candidatura in forma digitale all’indirizzo terrefragili@icsplat.org entro e non oltre le ore 12.00 del 24 febbraio 2012

sabato 4 febbraio 2012

Architettura relazionale


Un piccolo padiglione diventa luogo d'incontro per rileggere con i cittadini i progetti di ricostruzione a Giampilieri dopo l'alluvione del primo ottobre 2009.


                         


Il contesto sociale attuale limita le possibilità di relazioni interpersonali quanto più crea spazi a ciò deputati, l'architettura dovrebbe generare spazi di relazioni umane che, pur inserendosi apertamente nel sistema globale suggeriscano altre possibilità di scambio rispetto a quelle in vigore nel sistema stesso.
Il piccolo padiglione temporaneo di Giampilieri rinserra lo spazio delle relazioni utilizzando le forme del progetto di architettura ( modello e disegno) per stimolare e attivare reazioni e risposte tra le persone coinvolte.
Un'architettura temporanea è il luogo privilegiato in cui si instaurano delle collettività istantanee rette da principi diversi. 
In relazione al grado di partecipazione degli abitanti, alla natura dei progetti e ai modelli di partecipazione sociale proposti o rappresentati, un'architettura genererà un particolare ambito di scambi. 

L'architettura è uno stato d'incontro.

Un padiglione costruito in poche ore trasforma le celebrazioni del primo anniversario dall'alluvione in un'occasione per ripensare criticamente gli scenari futuri.
Lungo le pareti e nel soffitto pannelli in pvc raccontano i momenti di definizione collettiva del progetto, le economie necessarie e quelle messe a disposizione dalle istituzioni nazionali e regionali.  


lunedì 30 gennaio 2012

Addomesticare la tecnica

Il collasso è in grado di porre l’obiettivo della messa in sicurezza, in modo da declinarla con la scoperta di altri modi per rigenerare parti di città o di paesaggio, cogliendo l’occasione per farle appartenere con più forza alla contemporaneità?

Una briglia selettiva e un canale fugatore diventano terreno di sperimentazione attiva e laboratorio di sviluppo futuro sostenibile della città; un nuovo collegamento urbano in quota e la ricerca costante di rendere gli spazi della tecnica nuove forme di abitare il territorio.
AD






sabato 21 gennaio 2012

Photo Campus TERRE FRAGILI: Intro



Quattro fotografi, in 7 giorni, scendono in campo alla ricerca delle tracce del disastro. I loro lavori saranno pubblicati, a intervalli di una settimana, su architettura|a|bassa|definizione.



Il rapporto tra fotografia e tempo rimette in campo la questione delle emergenze come salto e rottura del tempo lineare della quotidianità. La fotografia coglie l’urgenza di una nuova condizione, che emerge, non prevista, non calcolata. la fotografia è una precipitazione e una contrazione del tempo, un ripiegamento, che permette di leggere l’intreccio tra i segni del passato e le indicazioni per il futuro.

Di fronte alla fragilità della terra la fotografia racconta, attraverso una raccolta di tracce e indizi, la crisi di questi territori dopo la dismissione delle attività produttive e il loro abbandono. Il trauma e l’emergenza accelerano tutto quello che è già in moto, che diventa più urgente. Se c’è una crisi diventa più urgente, se c’è (come nel caso del Belice) un movimento verso il cambiamento, il tempo diventa più debole.

C’è un momento di rottura preciso che è l’evento, che stabilisce un prima e un dopo. E poi succede qualcosa di inaspettato e lì è come se non solo precipitasse la montagna, ma anche si accelerasse tutto. Da un certo punto di vista è come se si fermasse, perché nel momento dell’emergenza è come se tutto fosse un po’ congelato. In queste situazioni subito dopo l’evento traumatico la memoria si fa collettiva. Certi episodi entrano talmente nel racconto quotidiano delle persone che anche chi non l’ha vissuto da vicino crede di avere vissute da vicino. Ci sono delle cose che entrano quasi nel mito, che devono essere assunte come inspiegabili, come fossero il retaggio di una cultura antica, che aveva bisogno di qualcosa di sovrannaturale.

Attraversando certi paesaggi colpiti da eventi disastrosi da una certa altezza o una certa posizione, i segni del trauma sul territorio assumono una scala diversa. Non è come esserci dentro. Mano a mano che ti allontani questi segni sono assorbiti dal paesaggio, riassumono una certa naturalità. Ma questa impressione potrebbe derivare da una visione ingannevole che porta a dubitare delle immagini che possiamo fissare con la macchina.La fotografia con la sua visione parziale e selettiva non può mostrare una visione assoluta del paesaggio, e quindi a una certa scala riassorbe i segni del trauma perché li nasconde entro i suoi limiti.

È anche vero però che la fotografia in quanto piega del tempo nell’attimo bloccato dallo scatto in questa fessura di eternità ci mostra i particolari dell’oggi in una scala temporale assolutamente diversa che, misurandosi con la lunga durata, ci fa scoprire i movimenti della natura. 

Ci si rende conto dunque che l'occhio indagatore della fotografia può porsi come statuto necessario alla comprensione degli indizi, sottili e invisibili, celati nelle pieghe di un territorio consumato dal disastro. Nasce dunque la necessità di istituire una campagna di ricerca, che, mettendo assieme tutti questi indizi residuali, fornisca una chiave interpretatitiva delle questioni che caratterizzano uno di questi paesaggi stanchi: la città lineare (e il territorio limtrofo) che va da Messina a Capo Alì, colpita dagli eventi dell' 1 ottobre 2009.




Laura Cantarella



























Andrea Botto




Peppe Maisto





Filippo Romano






venerdì 13 gennaio 2012

Collapse city

l'architettura della città nell'epoca dei disastri


La diffusione e l’accentuazione della percezione del disastro negli ultimi decenni ha alimentato l’insicurezza e la paura collettiva favorendo lo sviluppo di retoriche tecniciste che utilizzano l’ingegneria come soluzione lineare ai problemi.
Al di sopra di una certa soglia di velocità e di occupazione dell’informazione un disastro assume una tale rilevanza sociale e culturale che costringe i saperi tecnici e le economie a riorganizzarsi esclusivamente all’interno della sua logica.
Alla paura collettiva scatenata dai mass media si risponde con la promessa di una sicurezza totale che viene garantita dalla retorica della Tecnica.
L’ingegneria, utilizzando una logica selettiva e lineare, si definisce come strumento normalizzatore che separa e distrugge la possibilità di ricostruire una comunità. In questo modo viene cancellata l’idea che la città possa reagire al trauma riorganizzando le forme e il senso della comunità e viene annientata l’idea che la crisi possa favorire la scoperta di altri modi di abitare le forme assunte dai paesaggi e dalla città dopo l’evento traumatico. La messa in scena della sicurezza comporta la mobilitazione di ingenti capitali e un dispendio incontrollato di risorse che vengono sottratte all’uso comune. 
Lo stato di eccezione conseguente al collasso costituisce la modalità con cui viene costruita la città contemporanea: sospensione dei processi democratici, militarizzazione delle comunità, occupazione e controllo del territorio attraverso il posizionamento di imponenti opere di ingegneria.
Le condizioni limite che spesso portano al collasso impongono l’articolazione di una serie di domande per ripensare uno spazio da riconquistare per l’architettura.