sabato 21 gennaio 2012

Photo Campus TERRE FRAGILI: Intro



Quattro fotografi, in 7 giorni, scendono in campo alla ricerca delle tracce del disastro. I loro lavori saranno pubblicati, a intervalli di una settimana, su architettura|a|bassa|definizione.



Il rapporto tra fotografia e tempo rimette in campo la questione delle emergenze come salto e rottura del tempo lineare della quotidianità. La fotografia coglie l’urgenza di una nuova condizione, che emerge, non prevista, non calcolata. la fotografia è una precipitazione e una contrazione del tempo, un ripiegamento, che permette di leggere l’intreccio tra i segni del passato e le indicazioni per il futuro.

Di fronte alla fragilità della terra la fotografia racconta, attraverso una raccolta di tracce e indizi, la crisi di questi territori dopo la dismissione delle attività produttive e il loro abbandono. Il trauma e l’emergenza accelerano tutto quello che è già in moto, che diventa più urgente. Se c’è una crisi diventa più urgente, se c’è (come nel caso del Belice) un movimento verso il cambiamento, il tempo diventa più debole.

C’è un momento di rottura preciso che è l’evento, che stabilisce un prima e un dopo. E poi succede qualcosa di inaspettato e lì è come se non solo precipitasse la montagna, ma anche si accelerasse tutto. Da un certo punto di vista è come se si fermasse, perché nel momento dell’emergenza è come se tutto fosse un po’ congelato. In queste situazioni subito dopo l’evento traumatico la memoria si fa collettiva. Certi episodi entrano talmente nel racconto quotidiano delle persone che anche chi non l’ha vissuto da vicino crede di avere vissute da vicino. Ci sono delle cose che entrano quasi nel mito, che devono essere assunte come inspiegabili, come fossero il retaggio di una cultura antica, che aveva bisogno di qualcosa di sovrannaturale.

Attraversando certi paesaggi colpiti da eventi disastrosi da una certa altezza o una certa posizione, i segni del trauma sul territorio assumono una scala diversa. Non è come esserci dentro. Mano a mano che ti allontani questi segni sono assorbiti dal paesaggio, riassumono una certa naturalità. Ma questa impressione potrebbe derivare da una visione ingannevole che porta a dubitare delle immagini che possiamo fissare con la macchina.La fotografia con la sua visione parziale e selettiva non può mostrare una visione assoluta del paesaggio, e quindi a una certa scala riassorbe i segni del trauma perché li nasconde entro i suoi limiti.

È anche vero però che la fotografia in quanto piega del tempo nell’attimo bloccato dallo scatto in questa fessura di eternità ci mostra i particolari dell’oggi in una scala temporale assolutamente diversa che, misurandosi con la lunga durata, ci fa scoprire i movimenti della natura. 

Ci si rende conto dunque che l'occhio indagatore della fotografia può porsi come statuto necessario alla comprensione degli indizi, sottili e invisibili, celati nelle pieghe di un territorio consumato dal disastro. Nasce dunque la necessità di istituire una campagna di ricerca, che, mettendo assieme tutti questi indizi residuali, fornisca una chiave interpretatitiva delle questioni che caratterizzano uno di questi paesaggi stanchi: la città lineare (e il territorio limtrofo) che va da Messina a Capo Alì, colpita dagli eventi dell' 1 ottobre 2009.




Laura Cantarella



























Andrea Botto




Peppe Maisto





Filippo Romano






Nessun commento:

Posta un commento