venerdì 13 gennaio 2012

Collapse city

l'architettura della città nell'epoca dei disastri


La diffusione e l’accentuazione della percezione del disastro negli ultimi decenni ha alimentato l’insicurezza e la paura collettiva favorendo lo sviluppo di retoriche tecniciste che utilizzano l’ingegneria come soluzione lineare ai problemi.
Al di sopra di una certa soglia di velocità e di occupazione dell’informazione un disastro assume una tale rilevanza sociale e culturale che costringe i saperi tecnici e le economie a riorganizzarsi esclusivamente all’interno della sua logica.
Alla paura collettiva scatenata dai mass media si risponde con la promessa di una sicurezza totale che viene garantita dalla retorica della Tecnica.
L’ingegneria, utilizzando una logica selettiva e lineare, si definisce come strumento normalizzatore che separa e distrugge la possibilità di ricostruire una comunità. In questo modo viene cancellata l’idea che la città possa reagire al trauma riorganizzando le forme e il senso della comunità e viene annientata l’idea che la crisi possa favorire la scoperta di altri modi di abitare le forme assunte dai paesaggi e dalla città dopo l’evento traumatico. La messa in scena della sicurezza comporta la mobilitazione di ingenti capitali e un dispendio incontrollato di risorse che vengono sottratte all’uso comune. 
Lo stato di eccezione conseguente al collasso costituisce la modalità con cui viene costruita la città contemporanea: sospensione dei processi democratici, militarizzazione delle comunità, occupazione e controllo del territorio attraverso il posizionamento di imponenti opere di ingegneria.
Le condizioni limite che spesso portano al collasso impongono l’articolazione di una serie di domande per ripensare uno spazio da riconquistare per l’architettura.







Il collasso è sospensione del tempo che impone un ripensamento sulla durata delle trasformazioni e sul ruolo delle architetture: occorre pensare rapide azioni dentro visioni a lungo termine. Il progetto è capace di misurare le questioni e individuare le soluzioni possibili?
Il collasso può porsi come nuova materia per il progetto?  
In che modo la materia, che si muove coi tempi lunghi della natura, si incrocia con l’esigenze degli uomini?
Il collasso è accelerazione che, determinata dagli eventi catastrofici (frane, alluvioni, terremoti), innesca nuove necessità immediate; come si possono organizzare i tempi con velocità e forme diverse? 
Il collasso è misura della cancellazione.
L’architettura, a margine del disastro, può sospendere la cancellazione stessa o innescare meccanismi di metabolismo e convivenza con la quotidianità? 
Il collasso genera fenomeni di grande forza: possono questi essere considerati come vettori importanti per ogni progetto di trasformazione in una visione complessa capace di tenere insieme scale dimensionali diverse e contesti ambientali molto variegati? 
Il collasso alimenta il dialogo tra l’esigenza seriale e ripetitiva della tecnica e la specificità dei luoghi e i loro caratteri.
È possibile utilizzare la forza di astrazione dell’opera di ingegneria per liberare gli spazi vissuti dai luoghi comuni che ne nascondono le potenzialità?
Il collasso è in grado di porre l’obiettivo della messa in sicurezza, in modo da declinarla con la scoperta di altri modi per rigenerare parti di città o di paesaggio, cogliendo l’occasione per farle appartenere con più forza alla contemporaneità?

Nessun commento:

Posta un commento